Il prezzo dei 3 coraggi

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Ho finito di leggere “La vita di chi resta” di Matteo B. Bianchi e ne scrivo volentieri per tributargli un piccolo calore digitale prima di abbracciarlo di persona quando ve ne sarà occasione. Peraltro è il mio compleanno, sto partendo per Sanremo e mai avrei pensato di parlare proprio oggi di un tristissimo non detto che aleggiava da anni, un non detto dovuto al pudore di un’amicizia sincera sebbene periferica, nel senso che ci conosciamo da un po’, abbiamo lavorato insieme in maniera serena, ci diamo spesso consigli musicali, ci stimiamo e ci stiamo anche simpatici, ma non a livelli BFF ecco. Che tanti anni fa abbia subito un suicidio in casa propria commesso da un suo ex lo sapevo senza conoscerne i dettagli e in questo Milano è beghina nella sua migliore accezione e cioè che di certe cose non si parla per rispetto ed educazione, mentre se fosse successo a Roma ne avrei ricevute un amalgama imprecisato di versioni personalistiche nella migliore tradizione del telefono senza fili capitolino che molto spesso è spassoso, qualche volta anche no. Da subito si è catapultati in una realtà insopportabilmente dolorosa senza smancerie e lirismi, senza sconti ed effetti speciali. La scrittura è scarna come deve essere, perché non ha bisogno di nessun arzigogolo formale, è una lista della spesa dell’abisso ed è precisa nelle dosi e nella verità della cronaca di un dolore insopportabile. Il tempo è il vero accumulatore del primo coraggio, quello che ha permesso a Matteo di scrivere quando era pronto, per potere condividere senza vittimismo o sensazionalismi il più triste capitolo della sua vita. Il secondo coraggio è l’audacia del suicida, ce ne vuole tantissima anche in presenza di insopportabile disagio mentale. Il terzo, figlio del secondo coraggio è il pensare e al contempo fottersene della vita di chi resta che suo malgrado annasperà in ondate d’elaborazione del lutto difficilissime da sopportare. Grazie Matteo per aver condiviso il prezzo altissimo che hai pagato tutto da solo.