FROCI CONTRO LESBICHE (American Horror Story: Tár)

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Il mio amico, anche di quartiere, Matteo B. Bianchi (del quale è appena uscito per Mondadori “La vita di chi resta” che a occhio e croce sarà il romanzo per il quale finalmente gli verrà riconosciuto quello che si merita) fra le tante empatie che possiede è bravissimo a consigliare ad personam e con mira sofisticatissima cosa leggere e vedere; come quando anni fa mi disse: “guarda che devi assolutamente leggere Addio, Monti! di un certo Michele Masneri”. Insomma un paio di settimane fa mi chiama Matteo dicendomi che devo vedere l’ultima stagione di AHS e cioè American Horror Story: New York, “che è un po’ così, ma secondo me ti piace”.

Ryan Murphy mi irrita sempre, soprattutto perché depreda l’immaginario culturale di noi frocissimi nati nei ’60, lo frulla citandolo o travisandolo in trame a volte accattivanti e quasi sempre deludenti, ma a differenza nostra è milionario e si può comprare delle case grandi e dell’arte bella, quindi vattene pure un po’ affanculo. L’Horror come genere si può permettere non solo di essere esagerato ma anche incredibile, è il suo bello perché scarcera le atrocità che si vedono trascendendo molto spesso nel ridicolo e rendendo le miserie della truculenza accettabili. Qua però avviene un mischione simbolico e controverso, dove le uccisioni di un killer di froci nella New York libertina di fine anni settanta in pieno stile “Cruising” di Friedkin, coincide con l’avvento di quello che fu definito inizialmente il gay cancer e cioè l’improvvisa e spaventosissima apparizione dell’HIV nelle vite di noi giovani di allora. In un tripudio di leatherone, popper, docks, ricostruzioni dell’Anvil e dello Spike, di saune dove la proprietaria è una delle regine delle fag hag e cioè Patti LuPone e un simil Klaus Nomi fa una finaccia (diversa dalla quella che fece in realtà), fra le camporelle di Central Park e le feste a Fire island, incombe la morte dei protagonisti per mano di questo simbolicissimo serial killer o per colpa del Kaposi in un chachacha di sansebastianesimi che nel 2023 è iperreale ma ai tempi nostri ci fece cagare sotto e piangere chi non fu fortunato come noi.

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