Ultrasanremo
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Un intenso profumo di lacca Cadonett (ognuno ha la Madeleine che si merita), una fascia lisa di Miss Sorriso di chissà quale concorso e soprattutto di quale anno poggiata su di una poltrona un po’ sfondata, una serie di donne dai 65 anni in su molto sgambate, spregiudicate, impaillettate ο laminate rosa, fucsia, blu oltremare, verde vescica, oro, bronzo, “con dei colori che nun se sa come je so’ venuti in mente” (come diceva Delia in “Parigi o cara”), un Cugino di Campagna, una sosia di Liz Taylor che mi viene da pensare che somigli più io a Rita Pavone che lei a Liz, una Parietti vera, uffici stampa molto agitati al telefono anzi ai telefoni, truccatrici al telefono che spingono mini trolley rigonfi di primer, parcheggiatori al telefono che creano ingorghi di Van, vecchi col parrucchino, vecchie con le parrucche forse cotonate con la lacca percepita all’inizio, più gente col pass al collo che senza (molti pass mica solo uno), un artista con tic vistosi, un giornalista di testata prestigiosa dallo sguardo assente che sembra non capire dove si trovi esattamente e la cui nipote era una mia fidanzatina in quarta ginnasio: mi viene quasi voglia di dirglielo, non della nipote, ma che siamo a Sanremo.
Non ci penso un attimo a parlare di canzoni e di cantanti, ma dello stupore che mi coglie ogniqualvolta sono qui durante il festival, paragonabile credo a un poveretto che ricordi all’improvviso tutta la sua vita dopo una botta in testa. Sentirsi stupite Pollyanne che vivono per la prima volta quel Paese che parla un italiano stentato e con forti inflessioni di tutte le regioni (no, non sono puzzone io, è che insiste a non parlare la lingua ufficiale lui) che pensa di essere vivo perché credeva di essere riuscito a farsi dare l’autografo da X ma che in realtà era Y ma tanto fa lo stesso o che partecipa a una reunion di ex miss organizzata nell’albergo che mi ospita e che ho cercato di descrivere all’inizio. Fa più ridere scriverlo che vederlo dal vivo, è l’indotto a margine della kermesse che è destabilizzante, ma non viene trasmesso perché se lo fosse rischierebbe fortemente di essere preso per finzione scritta malino, troppo sopra le righe e che provoca fremdschämen compulsive in qualsiasi momento della giornata. Top, adoro, è stupendo! Manco per il cazzo. C’è grande disagio in questo fermento di discografici stressatissimi, tavolate chiassose con trionfi di crostacei e Swarowski, o sussurranti con due giornalisti di prestigiosa testata che mentre sta svolgendosi la conferenza stampa ufficiale del Festival mangiano uno spaghettino con denti forniti dalla Casagit. O anche decisamente burine nel rimarcare che ho pagato io ma come hai pagato tu non dovevi hai già pagato ieri fra uomini col sigaro come dei socialisti degli anni ’80 o dei greci dei 2000 accanto alle compagne che aspirano iqos dai cappucci rosa e pervinca.
E poi per strada: promoter del sud con aria decisamente sinistra nelle loro felpe Balmain, Dsquared o Balenciaga, infagottati in piumini The North Face e anelloni oro 12 carati e catene argento a caccia di produttori di cantanti in gara da piazzare in delle saghe estive pagate da proloco, stand a rotta di collo come quello Veralab in delle bomboniere rosa dove anche dei diversamente abili possono esibirsi in karaoke accanto alla scritta “olio denso” o quello più modesto dei testimoni di Geova con degli opuscoli che recitano “Cosa vuol dire avere successo nella vita”. Minestroni di froci impazziti che percorrono catwalk immaginarie in questa notte di sole furore, furore. Disprezzo negli occhi di sparute liguri vestite Prada vintage che gimcanano la moltitudine di passanti o per meglio dire di inchiodati immobili che occupano il suolo e non si spostano perché non sanno dove andare e probabilmente nell’eccitazione hanno anche dimenticato il loro nome. Si origliano molte telefonate, più che altro perché il volume delle conversazioni è altissimo e molto spesso doppio perché rigorosamente in viva voce, dove la più notevole è senz’altro quella di una donna over cinquanta, alta non più di un metro e quaranta con carrè corto che incornicia un nasino probabilmente rifatto da sola in casa con le forbicine per le unghie che risponde tra il fiero e l’emozionato alla domanda: “Hai vinto?” con un “Sì, donna dell’anno”.
