I 70 anni di Ivan Cattaneo e l’attuale perdibilissimo roster musicale italiano

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Dichiaro con un certo disagio di essere stato per un quarto d’ora sorcino: è stata la stagione, durata pochissimo, dei suoi concerti al teatro tenda di Piazza Mancini a Roma. Pochissima capienza e avanguardia di ammiratori, in quel momento uno non poteva immaginare che fossero in nuce le fondamenta di quello che poi diventò un vero e proprio culto dal quale mi sottrassi d’istinto nel momento che lo vidi espresso con precisione nel trasloco da Piazza Mancini al mega tendone Zerolandia all’EUR. Zero esplode e io me ne disinnamoro all’istante, non solo per la presunzione di pensare che mi possa permettere una puzza sotto il naso, ma anche perché percepisco che il messaggio veicolato dalle nuove canzoni non mi appartiene, è propagandista del sé, è un ad maiorem Zeri gloriam espresso con sentimenti a grana grossa e un tanto all’etto molto efficace per chi ci vuol cascare, è insomma senza stare a farla lunga, demagogico. Fortunatamente scopro che esiste uno che sta facendo il frocio col culo suo, vi ricordo che siamo nel 1978 e non era quindi facilissimo trovarne. E’ vero che in quel periodo quell’altro asseriva di non aver considerato il triangolo e Amanda ci teneva a dire che non sapevamo da dove provenisse, mentre i Pooh e Raffaella smelling the room simulavano degli outing a un certo Pierre e a un tale Luca, ma la faccenda era essenzialmente paraculetta e sostanzialmente estetica, mentre per Ivan Cattaneo era a differenza loro politica. Sarà che per la strada di Damasco incontrò sia il piglio determinista e a tratti bullo di quella matta col botto di Mario Mieli che i pomodori tirati addosso da un’omofoba ultrasinistra al parco Lambro, ma soprattutto l’intuizione di Nanni Ricordi suo primo e fondamentale mentore discografico che accese la sua carriera musicale del tutto sottovalutata allora e parzialmente ma non abbastanza rivalutata oggi.

“Uno sputo sulla terra/Dalla stella più lontana” è l’incipit della canzone-manifesto che apre l’album “SuperIvan” dal titolo “Boys & Boys”, dove Ivan urla “da Pianico a Tokyo/da Bergamo a Manhattan/la banda dei boys boys and boys/wonderful wonderful wonderful boys!”, sembra uno slogan del FUORI ed è un capolavoro assoluto di sperimentazione, prodotto dal più bravo degli anni ’80 e cioè Roberto Colombo – artefice per esempio del disco meglio prodotto in Italia di tutto il decennio e cioè “Aristocratica” dei Matia Bazar – suonato dalla PFM e con scrittura originalissima dello stesso Ivan che mette in mostra tutte le sue capacità vocali. Il linguaggio è innocentemente esplicito e normalizzante, dalla descrizione ammirata di uomini vigorettici che tante ossessioni e pippe produsse in Walter Siti, a quella di atti omoerotici per sé, dove si rivendicano con leggerezza o intensità penetrazioni vissute o immaginate.

“SuperIvan” è il figlio pop dell’album precedente, che poi è il vero capolavoro di Cattaneo, dal titolo “Primo, secondo e frutta (IVAn compreso)” che in quanto a sperimentazione musicale è il disco più Frank Zappa mai prodotto in Italia e il successivo tentativo del tutto mainstream “Urlo” che contiene “Polisex”, la canzone più conosciuta della sua produzione. Per l’impatto che avrà sulla sua discografia, Cattaneo casca nella trappola di un’idea super vincente cioè quella delle cover e nel 1981 esce “2060 Italian Graffiati” che gli farà guadagnare un mucchio di denaro e fama, ma verrà costretto negli anni dal mercato a produrre altri tre album di cover, oscurando di fatto la sua verve compositiva. Ora, non voglio sembrare il nonno dei Simpson ma a confronto, la produzione artistica e discografica italiana dall’avvento dello streaming ha prodotto dalla robetta alla robaccia senza nemmeno passare necessariamente dai talent show. Personalmente, degli ultimi vent’anni salvo credo due dischi dei Baustelle e basta. Per il resto e senza puntare il dito contro la trap che ha un mondo di riferimento a me indifferente ma molto preciso, mi produco in cadute di mascella sullo stracciamento di vesti per fenomeni innescati da mediocri giri armonici per ragazze di Roma Nord composti da Tommaso Paradiso o quelli apparentemente più intellettuali di Diodato, il Gramellini dei sentimenti musicali, che per scherzare chiamo con gli amici “la cerbiatta” per quella sua diafana immagine sofferta un po’ sopravvissuta a un danno subito, un po’ superstite di “Jovanka e le altre” e un po’ per l’appunto Bambi, ma sempre un grado sopra l’intensità. Qualche volta nella mia testa malata quando sento “Fai rumore” mi immagino una scena nella stanza da letto di un b&b bio in Salento dove a una dolente Lei e nel silenzio dell’incomprensione esistenziale, scappa una scureggia dopo un coito che nell’intenzione sarebbe riparatore e invece provoca un doloroso disappunto in un Lui che giustamente sbotta in un “Fai rumooore quiiii!” e rido da solo come uno sciocchino cattivo. Non sto nemmeno a parlare di goffi tentativi scandalosi usando la carta del Glam come Achille Lauro fino all’ultimo Rosa Chemical a cui mancano riferimenti, spessori e bagagli intellettuali per poter permettersi stranezze che risultino credibili e non solo per farsi notare. Con tutta probabilità non hanno ancora incontrato un male bello da masticare.

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