Un post che tenterà di essere solo vagamente polemico.

Pensavate che la Q fosse Queer? Da adesso non è più cosi. E il 2S mi ha fatto scoppiare il cervello.

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Penso che tutto derivi, forse inconsciamente, dall’handkerchief code e cioè dal metodo molto efficace inventato dagli omosessuali agli inizi degli anni settanta del novecento per rendere veloce l’individuazione del partner sessuale attraverso dei fazzoletti colorati: spiego a tutti i millennial ignari, quelli che per intenderci non sanno nemmeno chi fosse Annarita Spinaci o Patrizia Giugno, Holly Woodland o Ertha Kitt, Myra Breckinridge o Delia di “Parigi O cara”. Nei posti di battuage o nei bar di ritrovo, indossando nella tasca posteriore del tuo jeans un fazzoletto colorato potevi indicare immediatamente e con precisione cosa andavi cercando sessualmente parlando. Anche il ruolo era immediatamente definito a seconda se il fazzoletto era posto nella tasca sinistra e cioè attivo o destra passivo. Si andava da quello bianco che significava farsi fare o fare una sega all’arancione del vale tutto. Col tempo da 12 colori si è passati a una cospicua gamma pantone anche in abbinamento che prevede nel dettaglio ogni tipo di pratica sessuale.

In sostanza è essere riconosciuti che poi è un po’ la storia dell’acronimo LGBTQ il quale via via è andato aumentando di lettere fino ad arrivare ad oggi dove ci si è spinti fino al LGBTQIA2S. Scopro con stupore e certo disappunto che la Q non vuol dire più Queer ma Questioning e cioè in pratica i fluidi si sono appropriati della Q lasciando me povero cisgender ricchione relegato alla G di Gay, una parola che mi è stata sempre sui coglioni perché se c’è un aspetto che mi rende perplesso e che poco mi appartiene è quello di definirmi di base un felicione, ma poi in fondo vivo sereno lo stesso, non nell’Oregon omofobo dove chissà perché se sento l’urgenza di essere rappresentato da una lettera finalmente posso farlo anche se poi questo non mi libera dal pericolo di essere bullizzato ed eventualmente trucidato a sassate. E poi altro che Oregon, siamo arrivati al 2S la cui definizione, fate molta attenzione che io l’ho dovuta rileggere un paio di volte, significa “due spiriti” e cioè si riferisce agli indigeni che esprimono il proprio genere o identità sessuale come diversi dagli altri. Non tutti gli individui indigeni che non sono cisgender o eterosessuali si identificheranno come bispiriti, ma tutti gli individui con due spiriti si identificheranno come indigeni. Questo perché alcune minoranze etniche hanno spazio per più di 2 sessi, come i Díne, gli Anishnaabe e i Lakota. Ma io dico: non vi pare un po’ troppo? Non sentite di sottofondo anche voi un superficiale ma sacrosanto “E sticazzi?” Lotte sì improrogabili ma, scuserete la crudezza, qua bisogna attivare in automatico una tonnellata di sospensione del senso del ridicolo. Si porge il fianco a facili strumentalizzazioni e confusioni che difficilmente aiutano la imprescindibile lotta per i diritti. A me è sempre piaciuta la parola frocio perché la vivo come shoà personale e in un mondo perfetto è sia motivo d’orgoglio che monito a far vivere costantemente a chi frocio non è, un senso di colpa che gli ricordi tutte le discriminazioni e gli unconscious o conscious bias ai quali siamo stati sottoposti per secoli.

Nel 1968 Alberto Arbasino fa scrivere al protagonista del suo fondamentale romanzo “Super Eliogabalo” la seguente lettera:

“EPISTOLA AI FROCI ROMANI

Fate, fate gli spiritosi o gli sciocchini, compagni… Eravate come pesci nell’acqua integrati nella società piú bisessuale d’Europa perché qui il sesso era facile e diffuso, spontaneo e disponibile, allegro e sportivo, pagano e gentile, privo di colpe cattoliche e di rimorsi puritani e di complessi borghesi, soprattutto perché finché una cosa non viene nominata dunque non esiste e rimane invisibile anche se la si fa… Non bastavano tre notti – ricordate? – per girare tutti i posti di incontri polimorfi molto facili e molto simpatici, e le divisioni o differenze classiste c’entravano davvero poco, in quelle spiagge e stazioni e terme e parchi e bastioni e colossei, giacché si era tutti vestiti molto ‘casual’, senza una lira addosso, e vigeva semmai il razzismo del centimetraggio… E adesso, come se non bastassero i falsi problemi e i tormentoni provocati dai giornalini ‘liberati’ o zozzi, ecco tutti questi gruppi che facendo i collettivi sul discutere e mai sul vivere si costruiscono giorno dopo giorno i loro ghetti – tutto un discorrere di ruoli e rapporti e identità e funzioni e livelli e sistemi e limiti e formalizzazioni e focalizzazioni e autocoscienze e castrazioni e paranoie – come i radioamatori e i pescatori subacquei, gli alpini e i tifosi, i callasiani e i numismatici, gestendo un full time tutto gerghi intimi e mitologie private, con la propria etichetta appiccicata e sventolata 24 ore, 365 giorni, sempre meno integrati nella collettività… come quei brasiliani-professionali che parlano tutto il tempo di samba e di Pelé, e dopo venti minuti già non si riesce a reggerli…

E quindi mi chiedo: si stava meglio quando si stava peggio? Naturalmente no, credo però che si debba essere decisamente più furbi, perché purtroppo di essere più spiritosi ne ho persa ogni speranza.

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